mercoledì 5 gennaio 2022

La collezione egizia del Museo Nazionale di Ravenna

Il Museo Nazionale di Ravenna si trova all'interno del Complesso di San Vitale (in Via San Vitale n. 17, dove un tempo sorgeva il monastero benedettino) e, dal 1885, ospita un'importante collezione di reperti archeologici, sculture, oggetti d'arte, costituita in origine dalle raccolte dei monaci delle abbazie di Ravenna (in particolare dei monaci camaldolesi di Classe).

Veduta del Complesso di San Vitale e, sulla sinistra, dell'ingresso al Museo Nazionale di Ravenna

Arco di ingresso del complesso di San Vitale




Chiostro del convento di San Vitale

La passeggiata inizia lungo i chiostri al piano terra, dove si possono ammirare bassorilievi, epigrafi, stele funerarie, sarcofagi, erme, costituenti la collezione lapidea che va dall'età romana fino al periodo Barocco. Attraverso uno scalone monumentale settecentesco, si sale poi al primo piano dell'edificio.

Lo scalone monumentale progettato dal monaco Benedetto Fiandrini
nel 1790
 
Copertura di evangeliario detta "Dittico di Murano"
Avorio, Egitto (?), prima metà del VI secolo 

E' qui che, nelle diverse sale, si snodano le collezioni cittadine, fra le quali un bellissimo complesso di mobili in legno dipinto destinati ad arredare la farmacia settecentesca "de' Mori" di Via Mazzini, ma anche numerose placchette, icone, avori, gioielli, ceramiche, mosaici, affreschi, nonché un'interessante raccolta di opere provenienti dall’Antico Egitto.
Si tratta di reperti appartenuti prevalentemente ad antiche collezioni classensi: troviamo ushabti, bronzetti, amuleti, un telo funerario, un bellissimo esemplare di maschera in cartonnage, tessuti ed oggetti copti.
Alcuni di questi oggetti, donati nel corso del tempo al Museo Nazionale di Ravenna, sono esposti all'interno di una sala denominata "Curiosity Room" (Gabinetto delle Curiosità), ispirata alle Wunderkammern, cioè spazi privati nei quali, a partire dal Rinascimento e fino al periodo dell'Illuminismo, venivano raccolti oggetti di varia natura, creati dalle mani dell'uomo, i cosiddetti artificialia (fra cui reperti archeologici, oggetti esotici, avori, monete, ecc.).
In una delle vetrine di questo "Gabinetto delle Curiosità" sono presenti:
  • una decina di ushabti (𓅱𓈙𓃀𓏏𓏭𓀾 wšbtj) ovvero statuette che rappresentano il defunto mummiforme e che venivano poste all’interno del corredo funerario al fine di poter “sostituire” il defunto stesso nei compiti che, secondo la credenza degli antichi Egizi, dovevano essere svolti nell’aldilà. La parola “ushabti” deriva dal verbo “wšb” (usheb 𓅱𓈙𓃀𓏴𓀁) “rispondere” e significa “il rispondente”, “colui che risponde”; nelle formule iscritte su queste statuette, riprese dal capitolo VI del Libro dei Morti, l’ushabti viene infatti esortato a prendere il posto del defunto per eseguire gli stessi lavori che occorrevano durante la vita quotidiana, ovvero coltivare i campi, irrigare i canali, trasportare la sabbia, ecc. garantendo così la sopravvivenza eterna del defunto.
  • un amuleto a forma di pilastro djed (Ged), simbolo di stabilità, che in origine rappresentava probabilmente un fascio di steli legati, e che divenne poi in seguito - a partire dal Nuovo Regno, iconografia della spina dorsale del dio Osiride.
  • un bronzetto che rappresenta Min, dio della fertilità, mummiforme ed itifallico, con il braccio destro sollevato (ad impugnare il flagello, oggi perduto) e con indosso il copricapo a due piume a nastro.
Ushabti

Da sinistra: amuleto a forma di pilastro djed (Ged) e ushabti
 
Bronzetto del dio Min

Verso il termine del percorso, si incontrano alcuni oggetti egizi presumibilmente di età tolemaica, fra i quali una maschera funeraria in cartonnage - tela stuccata e dipinta - di lino e gesso ed un telo funerario di lino).

Maschera funeraria in cartonnage di lino e gesso con doratura.
Egitto, Epoca Tolemaica (323-30 a.C.)

Telo funerario in lino.
Egitto, Epoca Tolemaica (323-30 a.C.).

Telo funerario in lino, particolare dell'iscrizione.
Egitto, Epoca Tolemaica (323-30 a.C.).

Telo funerario in lino.
Egitto, Epoca Tolemaica (323-30 a.C.).

Nella sala è inoltre presente una vetrina dedicata ad alcuni oggetti di uso funerario, datati tra l'VIII e il IV sec. a.C.; spicca in particolare un amuleto di pietra, al centro del quale è scolpito a bassorilievo uno scarabeo, che nell'antico Egitto veniva chiamato ḫprj "Khepri".
Il nome, che trae la sua radice dal verbo ḫpr (kheper) "esistere", "venire all'esistenza", "trasformarsi", deriva dalla particolare attività svolta dal coleottero, che spinge o sposta con le sue zampe la pallina per dare nutrimento alla propria prole.
Associando tale movimento al percorso del sole nel cielo, l'insetto venne così utilizzato come iconografia dell'astro che sorge ogni mattina ed assunto a simbolo di rigenerazione e di rinnovamento, anche nell'aldilà.

Da sinistra: amuleto a scarabeo in pietra/faïence dipinta; pilastro djed (Ged)

Accanto all'amuleto se ne trova un altro a forma di pilastro djed, due statuette di divinità (una purtroppo frammentaria, che rappresenta Ptah, e l'altra in bronzo, che raffigura Osiride) e, per finire, una raccolta di tredici ushabti, alcuni completi di iscrizione, altri anepigrafi.

Da sinistra: frammento di statuetta del dio Ptah mummiforme (in materiale lapideo)
e bronzetto di Osiride

Ushabti

RIPRODUZIONE RISERVATA - La Via degli Antichi

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